Dal "manicomio al territorio"

Il disagio psichico oggi in un'ottica territoriale alternativa

Michele Ciani
06/06/2014
Attualità
Condividi su:

Molto si sente parlare e discutere in questi giorni a Teramo di ex Ospedale Psichiatrico.
Il riguadagno della struttura, la sua bonifica, nonché il suo riutilizzo per questo o per quell’altro scopo sono all’ordine del giorno sia in contesti universitari che associazionistici.
Ma cosa sappiamo davvero della malattia mentale? Cosa potrebbero raccontarci le mura di quell’edificio che per decenni ha visto e toccato la sofferenza in uno dei suoi aspetti più profondi?
E soprattutto dopo la sua chiusura cosa è stato fatto per vincere il disagio mentale?
Facciamo un passo indietro: fu la legge 180 di riforma psichiatrica del 1978 inglobata poi nella legge di riforma sanitaria 833, a rompere finalmente con un mondo molto lontano dalla realtà attuale e con una dimensione per noi difficilmente comprensibile.
In verità era stata la legge Mariotti del 1968 ad apportare un primo e fondamentale cambiamento nell’ambito dell’assistenza psichiatrica in Italia. Con essa si introdusse la possibilità, estesa a tutti i cittadini , di ricovero volontario in Ospedale psichiatrico.
La 180 a 10 anni di distanza , stabilì la chiusura degli Ospedali Psichiatrici, ossia dei vecchi manicomi con l’obbiettivo , secondo la visione  di Basaglia , di integrare prograssivamente i pazienti nella concreta realtà sociale di tutti i giorni.
Per la mancanza di una legge cornice nazionale che dettasse le direttive per l’applicazione della nuova normativa però, il cambiamento andò avanti a “macchie di leopardo” facendo registrare in varie regioni forti ritardi.
Solo al centro e al nord Italia si ebbe il fiorire di cliniche private convenzionate .
Il Servizio territoriale invece che elargiva un’assistenza alternativa fu il Dipartimento di Salute Mentale, composto dai Centri di Igiene Mentale (C.I.M. poi C.S.M. – Centri di Salute Mentale) disseminati sul territorio per affrontare e risolvere le situazioni di disagio lì dove si estrinsecavano e si concretizzavano o dove trovavano terreno fertile d’impianto, o dove nascevano proprio a causa di realtà socioculturali; Il Sevizio psichiatrico di diagnosi e cura (S.P.D.C.) Presidio Psichiatrico ubicato presso gli Ospedali Generali operava invece per gli stati di disturbo acuto o di scompenso; inoltre nacquero le strutture riabilitative per ospitare in prima istanza i dimessi dagli Ospedali Psichiatrici ed avviare per gli stessi un progetto di reintegrazione sociale, ossia un rientro nella società qualora la famiglia di origine non fosse nelle condizioni di accoglienza. Nacque anche in Italia così poi l’esigenza della formazione per gli operatori del settore , chiamati a dare nuove risposte lontane ormai dalla coercizione e dall’isolamento.
Si decentrarono  studi e corsi di psicoterapie, per far sì che gli interventi non fossero specificamente e solo farmacologici, ma si allargassero dall’individuo al nucleo familiare visto come parte integrante del sistema sociale.
Fu quella l’epoca delle scuole di psicoterapia sistemico relazionale della famiglia , vedi Cancrini e Andolfi a Roma e la scuola di Milano della Palazzoli Selvini; contemporaneamente scuole di altri indirizzi come le cognitivo – comportamentali e l’analisi transazionale.
Si avviò anche un filone di studi sulla riabilitazione psicosociale con la creazione di centri diurni, gruppi appartamento, piccole comunità con progetti individualizzati per la reintegrazione attiva.
La domanda che ognuno di noi si fa a questo punto, dopo detto excursus  è: allo stato a che punto siamo di fronte al disagio psichico? Certamente sembra essersi frantumato quel muro invalicabile che divideva i cosiddetti sani dai cosiddetti ammalati .
Direi che lo “stigma” malattia mentale che bollava il soggetto quasi sempre per tutto l’anno della vita è praticamente caduto. Si è diventati più aperti e disponibili verso comportamenti non totalmente adeguati alle regole codificate della società, si è meno preoccupati della “pericolosità” che per lunghi anni aveva “marchiato” le psicosi e il rapporto tra il soggetto e la comunità; quindi più permissivi. Oggi è possibile ciò che un tempo era praticamente impensabile…;ma il processo di inserimento sociale e di integrazione è sempre difficile a realizzarsi. Una società che non riesce a dare lavoro e stabilità a diplomati e laureati come può dare e assicurare un presente ed un  futuro a chi può magari non può reggere sempre il passo del ritmo frenetico a cui il mondo ci sottopone? Sono nate delle cooperative , specialmente al nord dove si sono avuti validi risultati con attività di agricoltura, allevamento, gestione del verde, agriturismo direttamente gestite da ex ricoverati in ambiente psichiatrico.
Ma al sud il sociale e le istituzioni , eccetto limitate eccezioni, ancora poco fanno per chi è in una situazione di svantaggio.
Inoltre oggi si tende a tornare alla psicofarmacologia; in più parti il lavoro di equipe, tanto un tempo osannato e ricercato, ha lasciato il posto ad un ambulatorio gestito da uno psichiatra come primo livello, con un secondo livello che il più delle volte non c’è. Determinati disturbi più facilmente aggredibili con specifiche psicoterapie, a causa di carenze di personale e di carenze di personale specificamente formato, non riescono ad essere adeguatamente curati. Si ritorna così automaticamente al farmaco, a volte ad una “insalata di farmaci”.
A mio avviso poco è stato realizzato per le problematiche dell’infanzia e dell’adolescenza, dove è difficile intervenire e dove è necessaria una fine competenza; in molte regioni è venuto a mancare un piano organico senza mai realizzare un intervento unico strutturato ed articolato per le varie problematiche .
Ci chiediamo : Come si possono prevenire i suicidi degli adolescenti sempre più frequenti? Quale intervento per la depressione nei minori?
Come limitare l’uso di alcool e droghe? Molti quindi gli interrogativi ancora in attesa di una risposta, di un programma di intervento che sappia essere incisivo, molti gli spazi operativi da colmare.
Una società che crolla , che non da sicurezza ai ragazzi ed ai giovani sia per il presente che per il futuro, è essa stessa fonte di instabilità. Una società che tende ad abbattere valori tradizionali, ma non ne propone alcuno di alternativo veramente valido, che , in nome del benessere e del consumo ci vede solo come “consumatori di…” o “ Produttori di…” ,  non è affatto rassicurante né stabilizzante, facilmente si creano vissuti di insicurezza ed abbandono.
Tutto ciò avviene mentre noi giovani cerchiamo una realizzazione, un riconoscimento, e siamo protesi alla dimensione di “essere, poter essere, potersi mettere armoniosamente in contatto con gli altri” (secondo gli assiomi dell’analisi transazionale).
La gioia di vivere , le aspirazioni a realizzare sogni e progetti , le speranze nel futuro persistono ancora in noi giovani.
Tutto ciò è anche indirettamente il frutto di una riforma psichiatrica che ha dato il suo contributo per migliorare la qualità della vita , per realizzare una società più giusta, con il proposito di dare a tutti “il diritto di cittadinanza”.
Ma è anche vero che molto resta ancora da fare…;come ci incita Papa Francesco, spetta anche a noi giovani far sì che quel teorico “diritto di cittadinanza” diventi una realtà vera della nostra società e soprattutto della nostra cultura, della nostra dimensione esistenziale.

Leggi altre notizie su IlTeramano.net
Condividi su: